ACCENTO s.m.

0.1 accenti, accento, acenti, acento.

0.2 Lat. accentus (LEI s.v. accentus).

0.3 Gonella Antelminelli, XIII sm. (lucch.): 2.

0.4 In testi tosc.: Gonella Antelminelli, XIII sm. (lucch.); Dante, Commedia, a. 1321; Jacopo Passavanti, Tratt. scienza, c. 1355 (fior.).

In testi sett.: Jacopo della Lana, Inf., 1324-28 (bologn.); Gid. da Sommacamp., Tratt., XIV sm. (ver.).

0.5 Locuz. e fras. accento corretto 1; accento prodotto 1.

0.7 1 [Gramm.] Aumento d'intensità della voce nella pronuncia di una sillaba. 2 Suono di una parola o delle sue parti. 2.1 Tono della voce. 2.2 Pronuncia, modo di parlare. 3 Parola, espressione.

0.8 Paolo Squillacioti 16.12.1999.

1 [Gramm.] Aumento d'intensità della voce nella pronuncia di una sillaba.

[1] Gl Boccaccio, Esposizioni, 1373-74, c. III (i), par. 16, pag. 143.8: accenti d'ira. «Accento» è il proferere, il quale facciamo alto o piano, acuto o grave o circunflesso; ma qui dice che erano d'ira, per la quale si sogliono molto più impetuosi fare che, senza ira parlando, non si farieno.

- Locuz. nom. Accento corretto: 'accento sdrucciolo' (ossia collocato sulla terz'ultima sillaba) il cui contrario, accento prodotto, cade sulla penultima.

[2] Gid. da Sommacamp., Tratt., XIV sm. (ver.), cap. 12, parr. 24-37, pag. 169.25: Item nota che nelo sopraditto sonetto èe differencia neli accenti, li quali covegnono essere sforçati per le consonancie deli rithimi acioché nelo proferire l'omo non barbarizi. Sì come «morde», dove quello 'de' èe accento correpto, e lì «scriver dé», dove quello 'de' èe accento produtto, ma conviensi proferire correpto per la consonancia delo rithimo.

2 Suono di una parola o delle sue parti.

[1] Gonella Antelminelli, XIII sm. (lucch.), XI.1.13, pag. 278: D'ogn'arte de l'alchimia mi disfido / e d'om che muta parlar per ac[c]ento: / non trae per senno al foco la farfalla.

[2] Giovanni da Vignano, XIII/XIV (bologn.>ven.), Intr, cap. 6, pag. 235.34: Dé donqua dire quelo ch'elo vole dire cum temperamento de bocha e de spirto, e con temperamento e bel movimento de corpo; e no sia le so' parole argoiose né tropo plene de voxe, ma sì dé parlare apertamente e destinto e dé adornare le so' parole cum beli acenti.

[3] Petrarca, Canzoniere, a. 1374, 5.4, pag. 7: Quando io movo i sospiri a chiamar voi, / e 'l nome che nel cor mi scrisse Amore, / laudando s'incomincia udir di fore / il suon de' primi dolci accenti suoi. || Rif. al suono dell'inizio delle lettere della parola 'Laura' in «laudando».

[4] Francesco di Vannozzo, Rime, XIV sm. (tosc.-ven.), [1388] 158 son. 7.13: Liberamente ogni uomo a te s'è dato, / e un solo accento d'un to sacro verbo / zascun di noi farà resucitato, / siché camina e fa' che non demori, / che 'l ciel comanda che zascun t'adori.

2.1 Tono della voce.

[1] Dante, Commedia, a. 1321, Inf. c. 3.26, vol. 1, pag. 42: Diverse lingue, orribili favelle, / parole di dolore, accenti d'ira, / voci alte e fioche, e suon di man con elle / facevano un tumulto, il qual s'aggira / sempre in quell'aura sanza tempo tinta, / come la rena quando turbo spira.

[2] Gl Jacopo della Lana, Inf., 1324-28 (bologn.), c. 3, 22-33, pag. 87, col. 2.1: Acenti d'ira. Acento si è a dire quasi muzito ...

[3] Gl Maramauro, Exp. Inf., 1369-73 (napol.>pad.-ven.), cap. 3, pag. 129.27: Qui D. comenza a narare como esso vide etc., accenti, cioè prolationi, de ira, e son de man con elle.

2.2 Pronuncia, modo di parlare.

[1] Jacopo Passavanti, Tratt. scienza, c. 1355 (fior.), pag. 288.11: Sanza ch'egli avviliscono la Scrittura; la quale con alte sentenzie e isquisiti latini, con begli colori rettorici e di leggiadro stile adorna, quale col parlare mozzo la tronca, come e' Franceschi e' Provenzali; quali collo scuro linguaggio l'offuscano, come i Tedeschi, Ungheri e Inghilesi; quali col volgare bazzesco e croio la 'ncrudiscono, come sono i Lombardi; quali con vocaboli ambigui e dubiosi dimezzandola la dividono, come i Napoletani e Regnicoli; quali coll'accento aspro e ruvido l'arrugginiscono, come sono i Romani...

3 Parola, espressione.

[1] Maramauro, Exp. Inf., 1369-73 (napol.>pad.-ven.), cap. 29, pag. 431.1: E ivi odì tanti lamenti che aveano ferati li loro strali, idest li loro acenti de pietade, però che pietosamente piangeano, tanto che D. se ne coperse le orechie per non udirle.

[2] Petrarca, Trionfi, 1351(?)-74, T. Famae Ia.2, pag. 310: Nel cor pien d'amarissima dolceçça / Risonavano anchor gli ultimi accenti / Del ragionar ch'e' sol brama ed appreçça...

[3] Petrarca, Canzoniere, a. 1374, 283.6, pag. 357: In un momento ogni mio ben m'ài tolto, / post'ài silentio a' piú soavi accenti / che mai s'udiro, et me pien di lamenti: / quant'io veggio m'è noia, et quant'io ascolto.

[u.r. 22.03.2017]